11 Settembre 2018, ore 21.00.

Io e mio marito abbiamo appena finito di cenare in una sera che sembra come tutte le altre se non fosse per i notiziari di tutto il mondo che ci ricordano che sono passati 17 anni dagli attentati alle Torri Gemelle. 17 anni dal giorno che ha cambiato il mondo, dal giorno in cui le nostre certezze sono crollate insieme alle torri, la paura si è insinuata nelle nostre case, 17 anni dal giorno in cui avremmo, invano, iniziato a cercare spiegazioni per l’odio, l’ingiustizia e il destino crudele.

Tantissimo è stato scritto su questo giorno, non ci sono più parole da aggiungere, conosciamo ormai tutti i dettagli, anche i più macabri. Abbiamo sentito parlare i parenti delle vittime distrutti dal dolore, abbiamo visitato musei e memoriali che ci mostrano cimeli, testimonianze e reperti, abbiamo seguito telegiornali, rivisto milioni di volte le immagini degli aerei che tagliano le torri come fossero burro. E ancora ci siamo commossi e inorriditi di fronte a “The falling man” che ci ha costretti a misurarci con la forza dell’istinto e della paura. Abbiamo assistito a cerimonie ufficiali e private, abbiamo letto libri e storie, analizzato i disegni dei bambini a cui qualche adulto coraggioso ha provato a spiegare quello che è successo a New York l’11 Settembre 2001.

Tutti noi sapremmo dire con precisione dove ci trovavamo quando abbiamo ricevuto la notizia degli attentati. Non so descrivere il misto di sensazioni che ho provato tra paura e incredulità. Ero a Como, la città dove sono cresciuta, davanti al Liceo che allora frequentavo. Avevo raggiunto un’amica con cui avevo in programma di trascorrere il pomeriggio tra chiacchiere e negozi, magari un ultimo gelato in quella giornata ancora calda di fine estate. Un compagno di scuola, incontrato per caso, mi ha detto “torniamo a casa: è successo un casino”. Il tempo per un attimo si è fermato e poi ha iniziato a correre velocissimo; la TV trasmetteva immagini impossibili da comprendere, impossibili da accettare. Non aveva senso niente!

Circa dieci anni più tardi mi sono trasferita a New York. Qui ho assistito ai progetti fatti e rifatti per la nuova Ground Zero, ho visto enormi gru scavare e costruire, ho visto piantare gli alberi che oggi ornano il parco, ho visto le fondamenta della Freedom Tower e delle fontane del memoriale. Ho visto simboli ovunque in città. Ho percepito potenza e voglia di riscatto ma anche dolore e ferite ancora aperte come gli scavi nel cuore del Financial district.

In tutti questi anni a New York però, non ero mai stata a Ground Zero l’11 Settembre.

Sono le 21.00, appunto, e dopo aver cenato decidiamo di raggiungere il 9/11 memorial. Optiamo per il traghetto, l’East River ferry, che ha una fermata proprio sotto casa. E’ una serata afosa, il cielo è coperto di nuvole e già a quest’ora è molto buio. Sul ferry con noi ci sono poche persone, forse qualche turista. L’Empire State Building ci sovrasta con i colori, oggi, della bandiera americana, rosso, bianco e blu. Mentre scivoliamo verso downtown sulle acque scure dell’East river si iniziano a intravedere le luci dei due fari che questa notte illumineranno Manhattan a ricordare le Torri Gemelle. La vista dal fiume è mozzafiato, l’acqua attutisce i suoni e ci restituisce una città silenziosa e immobile sul cui profilo “manca” la Freedom Tower che questa notte resterà simbolicamente spenta. In un attimo ci ritroviamo davanti alle fontane commemorative illuminate, insieme a tantissima gente che si ritrova qui con noi per rendere il personale omaggio alle vittime degli attentati: qualcuno prega, molti hanno gli occhi lucidi, tanti scattano fotografie, tutto con grande rispetto per questo luogo, questo giorno, questi morti. E’ una notte speciale, si percepisce dal silenzio, dalla commozione degli sguardi che si incrociano, dalla partecipazione diffusa della gente. Davanti a noi, in corrispondenza dei nomi di coloro che hanno perso la vita negli attentati, una distesa infinita di fiori, oggetti, lettere, fotografie, portate dai parenti delle vittime durante la cerimonia, tanto pubblica quanto privata, che si è svolta oggi al cospetto delle autorità di New York. Leggo un bigliettino che recita semplicemente “Number 1 dad”. Immagino quel bambino di allora, oggi ormai un adulto, che questa sera di 17 anni fa non ha visto tornare a casa il suo papà. Kate lascia un messaggio per la nonna che non c’è più “I love you Grandma”. E ancora lettere, poesie, scritte da mogli a mariti, da mariti a mogli, e tanti messaggi di ringraziamento a chi ha perso la vita fornendo i primi soccorsi.

Sì, sull’11 Settembre è stato scritto di tutto, nessuno può essere indifferente, ma questa notte vissuta di persona davanti alle due torce che illuminano il cielo, alla Freedom Tower che si staglia buia verso l’alto, alla compassione che pervade le strade e unisce le persone, mi ha fatto davvero sentire battere il cuore di questa città di cui sono fiera di fare parte.

Chi sono

Catapultata tra i grattacieli da quel ramo del lago di Como. Amo New York, la sua dinamicità e la sua energia e in queste pagine vi porto a scoprirla!

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